09 Gen CARPI. ASPETTIAMO UN ALTRO MIRACOLO
“Ti hanno esiliato perché gli abbassavi la media” ironizzavano i miei colleghi quando arrivai a Roma da Carpi, città tra le prime per ricchezza media pro capite della provincia più florida d’Italia. Da poco si erano conclusi gli sfavillanti anni ottanta, quelli dei pronto moda che nascevano come funghi, quelli che raccontavo ogni giorno in diretta da Radio Bruno dando voce ai cittadini, ai giovani imprenditori, agli altrettanto giovani amministratori che si impegnavano per governare al meglio la trasformazione dalla generazione dei carpigiani del dopoguerra, quelli che realizzarono delle vere fortune nella maglieria e nella camiceria, alla generazione dei figli e delle loro start up.
“Le valigie di Carpi” fu il titolo di una lunga puntata dello storico “Tam Tam” che il TG1 dedicò, nel 1980, al miracolo della mia città. Le valigie erano quelle delle donne degli anni cinquanta e sessanta, le magliaie che, mentre i mariti mandavano avanti le nuove produzioni, partivano per la Germania con i campionari. Una stagione finita troppo presto e che l’invito a una serata pubblica proprio a Carpi nella quale mi confronterò con sindaco e giunta mi impone di riesaminare con un’obiettività non semplice da raggiungere.
Che cosa è successo dagli anni in cui i carpigiani erano i primi consumatori di pneumatici di automobili di lusso a questa stagione in cui non riusciamo nemmeno a capitalizzare il successo di una squadra di calcio in serie A per un anno? Ciò che più di ogni altra cosa mi butta giù ogni volta che ritorno, e torno ogni volta col magone, è specchiarmi in una città che è invecchiata come sono invecchiato io. Uno stadio sul quale il 2015 della A è passato senza lasciare tracce, una piazza deserta come la mia testa con sempre meno capelli, il portico delle mie vasche giovanili senza più giovani. Unica nota positiva, a proposito di vasche, la nuovissima piscina pubblica dove mi si dice che anche la nostra gloria olimpica si allena quando torna a casa. Ma non basta.
Se vado a Modena non mi oriento più, mi perdo nella nuova tangenziale, non riesco più a trovare il Ponte Alto nè la Madonnina, se entro a Carpi tutto è uguale a sempre tranne la cintura di nuovi capannoni industriali ormai vecchi e abbandonati. Ma questo dipende dalla crisi, non dalla programmazione. Il mio lavoro mi porta in tante altre medie città dove trovo centri urbani vivaci, negozi storici gestiti da famiglie di commercianti locali che non sono stati costretti a vendere alle grandi catene, la movida dei baretti e dei ristoranti che si rinnovano. Apro TripAdvisor e su Carpi, città di sessantamila abitanti, non trovo che una decina di locali.
Questo è ciò che vedo da lontano. Una città che tiene la sua immensa meravigliosa piazza come le nostre nonne tenevano la sala da pranzo, chiusa, da camminarci con le pattine, da aprire solo per le grandissime occasioni. Tutto il resto si fa nel tinello di piazza Garibaldi. Una città amministrata come un buon condominio, senza quegli slanci visionari che la fecero grande ormai troppi anni fa. Spero che Alberto Bellelli e i suoi compagni di viaggio siamo in grado di smentirmi, domani. E’ ciò che più intimamente desidero.
La fotografia utilizzata appartiene alla collezione di Federico Massari