12 Set CENTRI COMMERCIALI. IO CI VADO. ANCHE DI DOMENICA.
Sulle domeniche decidano i comuni in piena autonomia. Chiudere i centri commerciali, in nome dei “tempi di una volta”, significa privare tanti famiglie di un luogo di svago e ritrovo.
Ah, una volta, una volta… La spesa la faceva la madre di famiglia, aiutata dalle nuore, nel negozietto sotto casa. Tutti i giorni perché non c’era il congelatore. Le domeniche pomeriggio a casa con le amiche e i pasticcini mentre mariti e figli andavano allo stadio e poi al bar, come tutte le sere, a giocare a tressette. E i bambini in strada fino a sera. Ogni giorno. Oggi, invece, tutti a spingere carrelli pieni di ogni bendiddio come se non ci fosse un domani.
Nossignore. Solo chi non lo frequenta può pensare che il grande centro commerciale sia quel luogo di abbruttimento dove si consumano le giornate comprando cibo, vestiti e scarpe. Io, per esempio, ci porto Valentino a saltare sui materassi e a giocare con decine di altri bambini e bambine. Lì, al fresco d’estate e al caldo d’inverno, si sta sicuramente meglio che sulle giostrine male oliate nei giardini con l’erba sempre da sistemare. E mentre la prole gioca noi grandi al baretto a chiacchierare dei nostri bambini con le altre famiglie.
Al Centro Commerciale ci sono i cinema con almeno una mezza dozzina di film in programmazione. Compresi quelli non di cassetta, da un-giorno-e-via, come in centro. Al Centro Commerciale c’è il ristorante, il viennese, l’americano, la pizza, il pesce e il kebbabbaro. Al Centro Commerciale parcheggi l’auto vicino agli esercizi commerciali che ti interessano e non sei costretto a fare lo slalom fra auto sui marciapedi e cacche di cane.
Che cosa facciamo? Ora che sono decollati li costringiamo a tenere chiuso nei festivi, quando più sono affollati? Li puniamo per il successo che si sono conquistati? Costringiamo chi lavora a ricominciare a combattere con l’orologio per mettere qualcosa in frigo? Rimandiamo a casa quelle decine di giovani che hanno trovato un’occupazione, benché faticosa, grazie anche agli orari lunghi? Puniamo i ragazzi disposti a sacrificarsi per livellarli con quelli del salario comodo e garantito?
Pensiamo veramente che poi torneremo tutti a messa? I tempi di una volta? Dovrebbero tornare? Vi risponderò con le parole del mio grande maestro Loris Guerzoni: “Mo andè bein a kagher!” (Che se lo dite in italiano fa anche rima).