I RIFUGIATI E NOI

I RIFUGIATI E NOI

Alle porte di Roma uno dei più grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo. Ecco come funzionano i CARA fra realtà e pregiudizi.

Sono meno di mille ma ci sentiamo invasi. Novecento persone al giorno, tra chi va e chi viene. Più uomini che donne, per lo più giovani e giovanissimi, che subito dopo lo sbarco, se chiedono protezione umanitaria, vengono inviati nei nove CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) del nostro Paese. Dopo Mineo, in provincia di Catania, quello di Roma – Castelnuovo di Porto, situato nei capannoni della Protezione Civile sulla Traversa del Grillo, è il più capiente.

Il 20 settembre scorso la lavagna posta all’ingresso, e aggiornata quotidianamente, segnava 845 presenze: 593 uomini, 198 donne, 54 minori. Nonostante la legge preveda tempi relativamente brevi, la durata della permanenza (quella del tempo occorrente per la risposta alla domanda di asilo) supera quasi sempre i sei mesi massimi previsti dalla legge, dopodiché se la richiesta è accolta lo straniero viene equiparato al cittadino italiano, in caso contrario scatta l’obbligo di lasciare il Paese entro pochi giorni. Se non lo fa, e spontaneamente nessuno lo fa, il migrante diventa un “irregolare”.

Nessuno degli ospiti del CARA è recluso, c’è solo l’obbligo di rientrare la notte. Sono loro, i giovani di colore che vediamo bighellonare mattina e pomeriggio lungo la Tiberina, quelli che ci portano istintivamente a alzare i finestrini dell’auto, mettere la sicura, controllare borsette e portafogli. Anche se nessuno – mi dice don Giuseppe, parroco alle Terrazze – sembra in grado di circostanziare furti o violenze subiti di persona. “Danno fastidio alle donne” si lamentano i residenti, ma quando vai a chiedere i particolari il racconto è sempre per sentito dire.

Falsa la convinzione che ognuno di loro disponga di 35 euro al giorno, quella è la somma che nel totale viene spesa per chi si prende cura di loro. La disponibilità individuale, per le piccole spese, si attesta su circa due euro e mezzo al giorno, quelli che spendono prevalentemente alla Carrefour di Ponte Storto per qualche birra e qualche saponetta. Birre, tante, a testimonianza del fatto che molti di loro non sono musulmani ma eritrei, cristiani copti.

Sono meno di mille, tutti con un tetto e con un letto, ma ci sentiamo invasi. Siamo tra i Paesi europei dove l’incidenza dei rifugiati in rapporto alla popolazione è in assoluto la più bassa: 2,4 per mille contro gli 8,1 per mille della Germania, i 10,7 dell’Austria, i 18,3 di Malta e i 23,4 della Norveglia (dati UNHCR). Eppure la pressione percepita è alle stelle, probabilmente anche per il fatto che, a differenza della Norvegia, dove le industrie hanno dovuto allentare le regole per il diritto all’assunzione, qui in pochi lavorano.

Ci sta provando il Comune di Castelnuovo di Porto, a tenerli occupati, con un protocollo sottoscritto assieme alla Prefettura di Roma. Un progetto per coinvolgerli in attività di volontariato a favore della collettività locale dopo essere stati adeguatamente formati. Corsi che si aggiungono a quelli già esistenti di lingua, attività che riguardano il verde, la pulizia delle strade, il decoro urbano. Un’intesa sottoscritta a fine agosto e che, al momento, ha visto l’adesione di trenta persone solamente. Gli altri continueranno a fare su e giù con Roma per vendere paccottiglia in nero. Ma, almeno, qualcuno ci sta provando.