LUIGI TENCO. UN SUICIDIO NEL QUALE CI OSTINIAMO A NON CREDERE.

LUIGI TENCO. UN SUICIDIO NEL QUALE CI OSTINIAMO A NON CREDERE.

 

Cinquant’anni e due inchieste dopo la scomparsa di Luigi Tenco c’è ancora chi non crede alla verità giudiziaria.

“Suicida oppure assassinato Luigi Tenco in quell’anno se ne è andato…” Alzo le mani. Se anche il preparatissimo John Vignola, parlando questa mattina a “Music club” dell’annus horribilis del Festival di Sanremo, mette in dubbio che Luigi Tenco si sia suicidato niente e nessuno potrà averla vinta, oggi, sulla macchina della “post verità”.

Parliamo del 1967, di cinquant’anni fa. Parliamo di un suicidio che, anni dopo, venne messo in dubbio per certe dichiarazioni dello stesso Tenco che, pochi mesi prima di morire, si disse seguito in macchina e speronato da due persone che volevano mandarlo fuori strada. Per dei detective pasticcioni che nell’immediato fecero rilievi alla carlona arrivando addirittura a riposizionare il cadavere, dopo averlo rimosso, per poterlo fotografare. Per un commissario appartenente alla P2 e forse a Gladio. Come se poi fosse verosimile che Gladio e la P2 avessero un qualche interesse a eliminare una star dello show business. Per il suo anticonformismo? Per il dichiarato antimilitarismo? Lui e non Lusini o Morandi che già avevano scritto e cantato, per la stessa casa discografica, “C’era un ragazzo”?

Eppure, ancora oggi, cinquant’anni dopo quello sparo all’Hotel Savoy ci sentiamo in obbligo di contemplare la tesi dell’omicidio. Come se fosse irrilevante che Tenco  avesse l’abitudine di girare armato. Come se a nulla servissero le testimonianze di amici e colleghi che lo descrissero instabile, fortemente teso per quella prova, forse ipnotizzato dei farmaci prima di salire sul palco. Sicuramente ubriaco quando, addormentato su un tavolo da biliardo, lo svegliarono per dargli la notizia dell’esclusione dalla gara, poche decine di minuti prima dello sparo che mise fine alla sua vita all’età di 29 anni. Come se la riesumazione e l’autopsia del 2005 e una nuova indagine nel 2015 non avessero ragionevolmente spazzato via, e per sempre, ogni sospetto.

E poco importa che gli stessi familiari oggi dicano di considerare la tesi ufficiale come veritiera se un giornalista tra i più rigorosi si sente in dovere, parlandone pubblicamente, di contemplare ancora la tesi dell’omicidio. Siamo di fronte alla prova provata che le finte verità costruite per gioco, per interesse, raramente con onestà intellettuale sono destinate a rimanere. E in un Paese di “analfabeti funzionali” nel quale secondo l’Ocse 48 cittadini su 100, benché in grado di leggere, scrivere e stare sul social, non sono in grado di interpretare ciò che non cade sotto la loro esperienza diretta, il gioco per chi vorrà costruire ogni nostra convinzione è facilissimo.