07 Dic RAGGI. DOPO LE PAROLE ATTESA ALLA PROVA DEI FATTI.
“Non si affitta ai terroni”. Cartello che mi poteva capitare di vedere, quando ero bambino, nella mia ricca e nonostante tutto ospitale Emilia. “Terroni”, migranti economici provenienti dal nostro stesso Paese ai quali, insieme ai profughi politici che fuggivano dalle purghe titine, i “triestini”, e agli sfollati dell’alluvione del Polesine, i “rovigotti”, dovevamo fare posto nelle nostre piccole e grandi comunità. Famiglie che si adattavano nelle case popolari, a casa di parenti, nelle baracche del’ex campo di concentramento di Fossoli come per anni accadde a Carpi. Famiglie i cui figli arrivavano nelle nostre classi a iniziare quel processo di integrazione che ha dato ottimi frutti. Famiglie viste con sospetto perché nella vasca da bagno ci tenevano le galline, perché cucinando producevano aromi sconosciuti, perché finivano più in alto di noi nelle classifiche per l’assegnazione delle case popolari, perché ci rubavano il lavoro. Quello che noi non volevamo più fare. “Marukin (Marocchini)” chiamavamo con disprezzo, nel nostro dialetto, i nostri connazionali pugliesi, calabresi, siciliani, avellinesi, napoletani. Marocchini come la famiglia, questa volta veramente originaria del Marocco, che ha dovuto ieri rinunciare all’alloggio legittimamente assegnato dal Comune di Roma. Costretti ad andarsene dall’intero condominio insorto a protezione di chi quell’appartamento lo occupava abusivamente da anni nonostante ripetuti sfratti. Cacciati da un quartiere, sino ad ora noto alle cronache per l’alto tasso di criminalità, che contro gli immigrati preferisce proteggere spacciatori e scippatori. Immigrati che, spesso, altro non sono ciò che loro erano cinquant’anni fa. Per Virginia Raggi, recentemente eletta con i voti determinanti delle grandi periferie romane, la prima vera prova di governo.