04 Feb ROMA. DA MARINO A RAGGI IL GRANDE INGANNO DELLE PRIMARIE.
Fallimentare, a Roma, la scelta affidata alle primarie degli ultimi due sindaci. Ignazio Marino e Virginia Raggi sono la prova che l’Italia non è ancora pronta alla scelta popolare dei candidati a una carica pubblica.
1526 furono i click sufficienti a fare di Virginia Raggi, fino a quel momento una dei quattro consiglieri grillini entrati al Campidoglio con la consiliatura Marino, la candidata di bandiera del Movimento Cinque Stelle alle elezioni dello scorso giugno. Era il 23 febbraio 2016, di martedì, seggi virtuali chiusi alle 19. Con un numero di preferenze che non bastano nemmeno a entrare in consiglio comunale, l’ex civilista dello studio legale Sammarco salì sulla rampa di lancio che di lì a pochi mesi la portò sulla poltrona più scomoda di Roma. E del Paese. 1526 preferenze, il 45 e mezzo per cento di meno di quattromila votanti che le diedero la vittoria, con dieci punti di vantaggio, contro quel Marcello de Vito che in appena sei mesi ha contribuito a condurla sull’orlo del baratro. Lo stesso De Vito che tre anni prima, capolista grillino, non era nemmeno arrivato al ballottaggio contro Marino.
Ignazio Marino, più di cinquantamila preferenze che, nei giorni in cui il governo Letta muoveva i primi passi della sua breve vita, lo portarono al trionfo su Davide Sassoli e, soprattutto, sull’unico politico di razza, Paolo Gentiloni, arrivato appena terzo con il 15 per cento. L’unico, Gentiloni che, meglio di qualsiasi altro candidato, conosceva la macchina comunale da vice di Rutelli in uno dei periodi più brillati della storia recente della capitale.
Vincitore di una tornata elettorale che non aveva vinto, stremato dalle dirette streaming Bersani vs/Grillo e con la grana di un accordo impossibile sul nuovo Presidente della Repubblica, il Partito Democratico non seppe appoggiare con determinazione il candidato d’apparato che pure aveva indicato. Con i risultati a tutti evidenti.
Discorso diverso, ma con molte analogie, per il Movimento Cinque Stelle. Bloccati da un voto in rete da rispettare, per quanto ridicolo, con una vincitrice per la quale si era espresso appena il 18 per cento degli iscritti della capitale, Grillo e Casaleggio Senior, ormai gravemente compromesso nella salute, non poterono che supportare la scelta popolare. Con il risultato a tutti evidente.
Tutto il mio rispetto a chi in Italia continua a opporsi a un sistema di selezione dei candidati mal copiato da una democrazia che lo istituzionalizzò oltre un secolo e mezzo fa e al quale lavora con grande dispiegamento di forze per mesi. Qui non è cosa. E non si pensi di riuscire a inserirlo in Costituzione.