SIMONE, TORRE MAURA E LA FORZA ESPRESSIVA DEL DIALETTO

SIMONE, TORRE MAURA E LA FORZA ESPRESSIVA DEL DIALETTO

“A me nun me sta bene che no!” Quando la forma è sostanza. E’ già un tormentone la frase gergale del giovane Simone nel video sulle proteste alla periferia di Roma.

 

Quindici anni e felpa di ordinanza, Simone, tiene a lungo testa a un organizzatore della protesta di Casa Pound contro il trasferimento di un gruppo di famiglie Rom in alcuni fabbricati del quartiere romano di Torre Maura.

Linguaggio da giovane ‘nato ai bordi di periferia’ (la zona è grosso modo sempre quella cantata da Ramazzotti trent’anni fa) Simone con grande capacità espressiva espone con logica e competenza concetti di etica e solidarietà che ancora mancano a troppi adulti. Ma certa intellighenzia arriccia il naso. “Sarà pure coraggioso – twitta severa la scrittrice da Premo Strega Elena Stancanelli – ma che un ragazzo a quell’età non sappia esprimersi in un italiano corretto non vi fa impressione?”.

A me no, non fa impressione. Lo slang di Simone è forza, è forma che aggiunge sostanza. E’ creatività. Soprattutto se, come confermano gli insegnanti del giovane di Torre Maura, il ragazzo sa esprimersi in un ottimo italiano quando serve.

Lo slang, il dialetto, anche quello più strutturato quando ancora esiste, è l’anima, la quintessenza del nostro essere. Lo abbiamo assorbito con il latte e per tutto il corso della nostra vita ci assiste quando “il gioco si fa duro”. Il dialetto non si insegna e non si impara come una lingua straniera. A ognuno il suo, con il compito di mantenerlo in vita. Io vivo a Roma da più di trent’anni ma per me “li mortacci” resterà sempre e solo un liberatorio “mo va a caghèer!”