
18 Gen VISTI DA VICINO. ANTONIO TAJANI.
Un uomo che si muove da solo e senza scorta. Questo l’aspetto che maggiormente apprezzo di Antonio Tajani dalla prima volta che lo incontrai, mio ospite a Radio Anch’Io, sette anni fa. Erano ancora tempi in cui nessun politico di spicco, nessun parlamentare si muoveva senza autista, guardaspalle e addetti misti. Tajani era già numero due della Commissione Europea, vicepresidente di Barroso, eppure ti capitava di vederlo scendere dal treno da solo, di incontrarlo in aereo seduto in turistica. Accadde all’aeroporto di Lione che, incrociato durante l’imbarco, chiese di cambiare posto per conversare un po’.
Tra le molte decine di personaggi di primo piano delle istituzioni, della politica e della cultura incontrati durante i miei oltre dieci anni alla conduzione dei principali programmi di Radio1 Rai, Tajani è sempre stato, in un mondo di enorme autoreferenzialità, tra i pochissimi ospiti veramente attenti all’altro, all’ascoltatore, all’ambiente circostante. Interlocutore dalle risposte complesse e articolate, come l’Europa, del resto, sembra richiedere per contratto ai suoi front men, da intervistato non si è mai sottratto alle domande più birichine. E non ha mai declinato, nemmeno negli anni scivolosi del tramonto di Silvio Berlusconi, alcun invito nella sua veste di esponente di Forza Italia.
Il physique du rôle non gli fa difetto. Fedele e coerente con la sua storia personale e politica, Antonio Tajani sarà un ottimo Presidente del Parlamento Europeo. Come Emilio Colombo trent’anni fa, come Romano Prodi e come oggi Mario Draghi mi farà sentire proud to be Italian alla vigilia di quello che, con le elezioni in Francia, in Germania e in Italia sarà l’anno più complicato, per le istituzioni europee e per tutti noi, dei sessanta trascorsi dal Trattato di Roma.